Myrta Merlino: «Ho vinto la mia sfida più difficile»

28 Agosto 2024

«In questo programma ho scoperto cose di me che non conoscevo: per affrontare alcune storie delicate mi sono lasciata guidare dal cuore, mettendomi in gioco», racconta la conduttrice di "Pomeriggio Cinque", che torna a settembre. «Ho avuto molti nemici, ma ho tenuto la barra dritta»

Myrta Merlino è la donna più citata dai blog televisivi in questo ultimo anno. Da quando, cioè, dopo dodici stagioni alla guida de L’aria che tira su La7, è stata chiamata da Mediaset per condurre Pomeriggio Cinque o, a seconda dei titoli dei giornali, per prendere il posto di Barbara D’Urso. Apriti cielo: “È snob”, “è poco di pancia”, “non è popolare”, hanno scritto. Eppure, poco alla volta, il programma ha trovato una propria identità, che oggi le viene riconosciuta.
«Sono a Pantelleria con il mio compagno, questa è la nostra isola felice», esordisce la Merlino. «Qui la natura è più forte dell’uomo, detta i tempi, e ti fa sentire lontana dal mondo. E, dopo un anno dentro il mondo, arrivare qui e perdermi mi ha fatto un gran bene».
La riportiamo subito a Pomeriggio Cinque.
«Mi è stata chiesta una forte discontinuità rispetto al passato, è stata una piccola rivoluzione. Per me era un impegno difficile e stimolante. Sono andata in onda in una fascia oraria per me nuova, il pomeriggio, che è un mondo a sé. A quell’ora, davanti alla tv, c’è la pancia del Paese, c’è un pubblico che vuole ritrovare i propri desideri, le paure, i problemi, i sogni. Venivo da un mondo legato alla politica e ho capito tante cose che i politici, spesso, ignorano».
Come si è orientata?
«Sono partita con umiltà, mi sono messa in ascolto, ho cercato di capire le cose che stavano a cuore alle persone, facendo quello che, per me, è servizio pubblico. Mi sono occupata di problemi quotidiani come le truffe agli anziani, di drammi come i femminicidi, di diritti violati».
Ha dovuto fare i conti con un pubblico abituato a un’altra conduzione.
«Il mio lavoro era mantenere lo zoccolo duro abituato da 15 anni a un prodotto diverso, e, intanto, intercettare un pubblico nuovo. A fine stagione il marketing ci ha fatto notare che abbiamo mantenuto il grande pubblico del pomeriggio e ci siamo allargati anche a un pubblico più giovane».
Il bilancio è positivo.
«È stata dura, in un mondo lontano da me, con molti nemici, ma ho tenuto la barra dritta. Sono una giornalista e ho voluto raccontare le notizie mettendomi dalla parte di chi mi segue. È stato uno sforzo riconosciuto e questa è la base per la prossima stagione. Ho imparato anche dai miei errori, c’è un bellissimo libro di Philip Roth, intitolato Pastorale americana, che dice: “Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando”».
Come si rapporta con il pop e qual è il confine del trash?
«Più che con il pop mi sono rapportata con le storie delle persone perché, in ciascuna di esse, c’è qualcosa che ci riguarda. Quello che ho cercato di fare – che non so se sia il discrimine fra pop e trash – è stato evitare di spettacolarizzare o insistere su particolari ininfluenti. Ho fatto il mio lavoro con rigore e onestà intellettuale. Ricordo quando mi chiamò Eleonora Giorgi per parlarmi della sua malattia e mi disse di volerla raccontare da me. Di fronte a un compito così delicato sono stata indecisa, ho riflettuto molto prima di accettare, ma, poi, ho scoperto aspetti di me che non conoscevo. Mi sono lasciata guidare dal cuore, mettendomi in gioco, e ho avuto la conferma che tante persone avevano bisogno di quella testimonianza per trovare il coraggio di affrontare il medesimo percorso».
Se fosse in onda oggi come affronterebbe il caso della pugile Imane Khelif, definita erroneamente transgender, che ha sconfitto in pochi secondi l’italiana Angela Carini alle Olimpiadi?
«Per prima cosa partirei dalla fondatezza delle notizie. Ho chiamato subito Giovanni Malagò, presidente del Coni, per sapere come stessero le cose, perché bisogna sempre conoscere i termini delle questioni. Anche a me, vedendo quell’incontro, sono venuti dubbi. Si notava subito un divario fisico. Però dobbiamo essere rigorosi e capire quale sia la storia, quali siano le regole, quale sia il livello di testosterone accettabile. Partiamo dai fatti, poi si possono ospitare tutte le opinioni».
Passiamo a Chiara Ferragni: sarebbe innamorata di un uomo sposato, che cosa ne pensa?
«C’è, prima di tutto, il tema di una donna che ha vissuto anni di fortuna pazzesca, forse eccessiva, la quale si ritrova a vivere l’anno peggiore della propria vita: sotto accusa nel lavoro e con un matrimonio che finisce, con due bambini e un ex marito complicato. Un uomo istintivo, impulsivo. Non è stata una separazione leggera. Dopodiché, giudizi in amore non ne do: sono stata sposata due volte, ho avuto tre figli da due uomini diversi e sto con un uomo che, a propria volta, ha alle spalle due relazioni importanti con due figli. La cosa essenziale è che ci sia l’amore. Non sono moralista: quando l’amore esiste, anche le situazioni complicate si sistemano. Auguro a Chiara di trovare un uomo solido, maturo, capace di starle vicino in un momento difficile».
A proposito: il suo compagno, Marco Tardelli, è stato un sex symbol del calcio. Era più interessante a 20 anni o adesso?
«Lo chiede alla persona sbagliata (ride, ndr). Se lo chiedi a lui ti dice che non vuole vedere le sue foto da ragazzo, perché era più bello. A Roma ho messo in casa una sua foto meravigliosa e lui mi dice sempre: “Perché mi devi ricordare come ero?”. Io lo trovo un bellissimo uomo della sua età e mi piace la sua maturità, mi trasmette serenità, sicurezza. È un uomo risolto che, nella vita, ha avuto molto e, per questo, è sereno, in pace con se stesso, cose che non avrei trovato nel Marco dei 30 anni e che ho trovato nel Marco dei 60. Facendo un lavoro nevrotico c’è sempre tensione e avere un uomo che mi trasmette solidità, che è la mia roccia, mi fa stare bene».

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