Il protagonista di “Tutto chiede salvezza” si racconta a “Chi”: «Anch’io sono alla ricerca di un equilibrio. E ho capito che le cose più importanti sono le persone e le emozioni»
La salute mentale oggi è un tema serio, ci riguarda tutti e va affrontato: non possiamo più demonizzarlo o voltarci dall’altra parte». Federico Cesari, 27 anni, si è accostato a questo tema grazie a una serie che gli ha dato tanto - come racconta a “Chi” - sia a livello personale sia professionale. È Tutto chiede salvezza, tratta dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli e disponibile su Netflix in due stagioni. Qui veste i panni di un ragazzo problematico sottoposto a un Tso (Trattamento sanitario obbligatorio), che diventa poi un infermiere dello stesso ospedale. Ironia della sorte, in Medicina nel frattempo Federico si è laureato per davvero. Un medico sul set torna sempre utile. Dice lui: «Ogni tanto mi chiedono consigli medici, ma io ho ben chiaro che nella vita voglio continuare a fare l’attore. Dopo questa serie ancora di più».
Che cosa ha imparato da Tutto chiede salvezza?
«A non approcciare le cose in maniera egocentrica, a non chiudermi nella mia testa e rimuginare, ma a godere delle altre persone e aprirmi al mondo».
Che tipo di riscontro ha avuto da parte del pubblico?
«Tanto affetto, confronto di opinioni sulla salute mentale e condivisione di esperienze personali. Le persone hanno amato la serie perché si sono viste raccontate, si sono immedesimate, hanno ricevuto indietro qualcosa di forte dal nostro racconto. Ho notato che c’è un’epidemia di richieste di aiuto e bisogno di un supporto, a cui al di là della serie bisogna dare una concretezza nel quotidiano».
Lei fa terapia?
«Da due anni e la trovo importantissima per prendermi cura di me stesso. Sono una persona che tende a distogliere il focus dalle cose, prendermi un’ora di tempo per fare una riflessione guidata mi porta a volte anche a sorprendermi nell’arrivare a conclusioni nuove e inedite. Come tutti vivo continue fasi di assestamento e dissestamento, una ricerca di equilibrio costante».
Somiglia al suo personaggio Daniele?
«Nella voglia di ascoltare gli altri, nell’importanza che questo personaggio dà loro, ma anche nella volontà di appigliarsi agli altri per trovare la salvezza».
A chi si appoggia lei nei momenti difficili?
«Alla famiglia, agli amici, ma anche a persone sconosciute capaci di darmi prospettive diverse e ricentrarmi. A volte siamo troppo concentrati su noi stessi, metterci in discussione è importante».
Prova mai la rabbia incontrollata del suo Daniele?
«No. Lui ha un modo di provare le emozioni che a volte è così intenso da diventare violento, non solo in maniera fisica. La rabbia non è un sentimento che mi appartiene, anche se ho trovato una facilità di accesso inaspettata a quest’emozione, mi chiedo ancora da dove mi provenga».
Con Gianluca Gori, alias Drusilla, com’è andata sul set?
«Si è allineato alla nostra volontà di metterci in gioco, sbagliare, lavorare e prendere anche cantonate per creare qualcosa di bello. Prima di lavorare con un grande attore che ha tanto lavoro e vissuto sulle spalle non sai mai che tipo di persona e che tipo di disponibilità incontrerai. Lavorare con Gianluca/Drusilla è stata una bella fortuna».
Tutto chiede salvezza
Ha accennato alla sua famiglia, si sente sostenuto nel suo percorso?
«Ho la fortuna di avere una famiglia che mi ha dato tanta libertà. Non sempre hanno creduto alle cose che facevo, ma mi hanno sempre lasciato libero, fidandosi di me».
Anche quando ha detto loro: “Voglio fare l’attore”?
«Se lo aspettavano, ho iniziato da piccolo a recitare (con I Cesaroni, ndr), poi mi sono laureato in Medicina e lì, avendo anche una fidanzata medico, ho notato quanta vocazione e impegno ci vogliano, ho iniziato a chiedermi se fossero compatibili con tutto il mio lavoro sui personaggi. Oggi i miei sanno che voglio fare l’attore e lo accettano».
Cos’è l’amore per lei?
«Il puro sentimento è una cosa comune che proviamo tutti, ma è lo stare in una relazione che è difficile. Perché viviamo nell’epoca dell’usa e getta, applicabile anche alle persone, una ricerca incessante del nuovo che spesso porta a sostituire il partner, anziché continuare a costruire con la stessa persona con la quale si è condiviso tanto. Bisogna avere chiari chi siamo noi e con chi vogliamo condividere la vita. Io credo all’amore duraturo, sono convinto che le cose più importanti della vita siano le persone e le emozioni».
Sta girando il film Zvanì di Giuseppe Piccioni, la vedremo nei panni del poeta Giovanni Pascoli.
«Un film molto intenso, di cui sono felicissimo al di là di come sarà e come andrà. Ho attraversato qualcosa di unico, studiato tantissimo Pascoli e la mia versione sarà quella di un ragazzo martire dei suoi ideali di vita e politici, e delle sue scelte familiari».
Cosa direbbe al bambino Federico che già recitava, se lo rincontrasse oggi?
«Continua a pensarlo come un gioco e non come il tuo lavoro. Lo diventerà, ma non perdere mai la spensieratezza».
Come vive la notorietà?
«Sto prendendo questo “gioco” sempre più seriamente. Cerco di vivere tutto con grande serenità, mi fa felice quando mi riconoscono per strada, ma la mia vita è rimasta la stessa e soprattutto io sono rimasto lo stesso».