«Sulla trave mi sono sentita a lungo incapace, ho anche pensato di lasciarla», confida dalla Thailandia la ginnasta, che con il trionfo su quell’attrezzo (battendo la stella Usa Simone Biles) e l’argento in squadra è l’azzurra più medagliata di Parigi 2024. «Ma ora torno a casa e riparto da capo»
Alice D’Amato è la nostra stella più luminosa nel firmamento di Parigi 2024: l’oro conquistato dalla ginnasta delle Fiamme Oro alla trave e l’argento vinto nella gara a squadre con le altre Fate (soprannome della nazionale di ginnastica artistica) fanno di lei l’azzurra più medagliata di queste Olimpiadi. Entrambe sono medaglie storiche: una la consacra prima campionessa nella storia della disciplina, l’altra non arrivava dal 1928.
Dati straordinari ma che non emozionano quanto la performance di questa ragazza genovese di 21 anni (di cui 14 trascorsi in palestra) su quell’attrezzo lungo 5 metri e largo 10 centimetri - che non è neanche il suo preferito - e il suo pianto incredulo per aver battuto le super favorite, l’americana Simone Biles e la brasiliana Rebeca Andrade. Questo accadeva il 5 agosto. Tre giorni dopo Alice è volata in Thailandia con la sorella gemella Asia e una loro allenatrice. È da lì che ci risponde, una spiaggia di Koh Samui, nel sole del crepuscolo, nel riposo dopo l’impresa.
Quando ha prenotato questo viaggio non sapeva che l’avrebbe fatto da campionessa olimpica. Che effetto le fa? Con la testa è lì o è ancora a Parigi?
«Sono totalmente qui. Il mio obiettivo di questi dieci giorni è proprio quello di staccare del tutto. Ho vissuto un sogno, ma ora cerco di pensarci il meno possibile per godermi la vacanza e riposarmi davvero. Non ho neanche rivisto il mio esercizio né la premiazione. Ci sarà tempo, dopo, per pensare a quello che è successo a Parigi».
Anche un oro, come una sconfitta, può essere difficile da elaborare e digerire?
«Sotto alcuni aspetti sì. Tanta gente che prima non sapeva chi fossi ora mi ferma e mi fa i complimenti, ed è una cosa che mi fa piacere, ma non ci sono abituata».
Raggiunta la vetta, c’è la paura che le motivazioni s’indeboliscano o, al contrario, che rimanerci diventi un’ossessione?
«Nel mio caso no. Finite le mie vacanze tornerò in palestra e continuerò a lavorare come facevo prima. Non sento la responsabilità di dover dimostrare che me lo meritavo, né mi sento arrivata. Alla fine non è che io abbia vinto la medaglia d’oro perché fossi la favorita, semplicemente mi è andata di fortuna che le altre hanno sbagliato. Quello che voglio dire è che per me c’è sempre da migliorare».
Sembrerebbe pensare di aver vinto non perché è stata la più brava. Ma se un’avversaria fa un errore significa che lo è stata di meno, anche se si chiama Simone Biles, o no?
«Lo so, ma sono io un po’ così, tendo sempre a vederla dal lato negativo piuttosto che dal lato positivo. Allo stesso tempo mi rendo conto che se avessi sbagliato io sarei arrivata ultima, e non l’avrei considerata sfortuna».
Rimane il fatto che nessuno se l’aspettava, lei compresa. Quand’è stato il momento in cui ha capito che invece sarebbe potuto succedere?
«Nel momento in cui è successo! La mia trave a Parigi è stata un crescendo, dalla qualifica alle finali, dove sono entrata con un punteggio che non era tra i migliori. Prima di me sono salite la cinese (Zhou Yaqin) e Manila (Esposito, compagna di squadra, arrivata terza) che avevano punteggi più alti, ed ero certa che sarei stata dietro. Invece sono passata avanti, ma mancavano la Biles e la Andrade. Convinta di essere bronzo sono andata a vestirmi, già felicissima così. Avevo accanto la mia allenatrice (Monica Bergamelli, ndr), ma non guardavo l’esercizio di Simone: sento che Monica mi stringe la gamba, poi un boato del pubblico e capisco che ha sbagliato qualcosa, ma solo quando ho visto il suo punteggio e quello di Rebeca ho realizzato».
E che cosa ha provato?
«Mi sono sentita male, non ci credevo, ho pianto dalla sorpresa. Già essere in finale alla trave per me era una grande vittoria».
Vincere in quello che non è il suo attrezzo d’elezione e arrivare quinta alle sue amate parallele che significato ha per lei?
«Alle parallele ero ben consapevole che non sarei potuta arrivare nelle prime posizioni, le migliori sono irraggiungibili. Forse potevo ambire al bronzo, ma alla fine essere tra le prime cinque al mondo, a pochissimi centesimi dal podio, è una conferma di crescita. La trave era la mia penultima prova e ci sono arrivata soddisfatta di me, convinta di aver fatto delle Olimpiadi con i fiocchi. Pensavo solo che dovevo portarla a casa bene, pulita, senza badare al risultato, e ho fatto il mio».
Perché non ama la trave?
«Da piccolina mi piaceva tanto, poi crescendo mi sono sempre sentita un’incapace. C’è stato un momento che volevo lasciarla perché non vedevo una luce, quasi da vergognarmi a salirci sopra. Poi gli allenatori mi hanno aiutato e ho preso un po’ più di fiducia».
Ora ci ha fatto pace?
«Bah, non è che perché ho vinto ora mi piaccia, però c’è la grande soddisfazione per aver superato i miei limiti. Tra Assoluti, Europei e Olimpiadi sulla trave non ho fatto più errori, e questo significa aver continuato ad allenarmi e non essermi arresa è stata la scelta giusta».
Ha iniziato a fare ginnastica a 7 anni con la sua gemella Asia all’Andrea Doria di Genova, a 10 vi siete trasferite, da sole, a Brescia, per allenarvi ancora più seriamente alla Brixia. Quando le hanno messo l’oro al collo, e l’inno di Mameli ha suonato per lei, le sono passati davanti tutti gli anni, i giorni e le ore di fatica, la lontananza da casa, gli infortuni e i sacrifici di questi 14 anni?
«In quel momento non capivo niente, non riuscivo a metabolizzare, era tutto un mix di emozioni che non saprei esprimere a parole. Oggi penso che rifarei tutto, penso a tutte le persone che mi hanno dato l’opportunità di seguire questa strada, penso che tutto quello che ho fatto l’ho fatto perché mi piaceva e che ho realizzato il sogno di ogni atleta».
Ricorda quando l’ha sognato per la prima volta?
«Le prime Olimpiadi che ho guardato sono state Londra 2012 e lì ho detto: “Che bello se ci arrivassi anche io”. Mi piacevano tantissimo le russe, la Mustafina e la Komova, poi quando sono andata a Brescia c’era Vanessa Ferrari, ed è diventata lei il mio esempio. Noi piccoline avevamo quasi paura quando la vedevamo allenarsi. Prima di andare a Parigi sono andata a casa sua e mi ha detto di godermi l’esperienza e che secondo lei sarebbe andata bene. Quando l’ho rivista a Parigi, durante le gare, ho ripensato molto alle sue parole».
Simone Biles ha iniziato a vincere a livello mondiale quando lei aveva 10 anni: ha mai pensato che avrebbe potuto competere con lei e addirittura batterla?
«Competere mai fino al 2019, quando eravamo insieme ai Mondiali di Stoccarda. Ricordo che quando l’ho vista in campo gara ho pensato che fosse il mostro della ginnastica. Quando a Parigi in conferenza stampa ha fatto i complimenti a me e a Manila l’ho apprezzato molto».
Se pensa che a settembre qualche bambina in più si iscriverà a un corso di ginnastica artistica per “colpa” sua cosa prova?
«Mi fa piacere, ma direi loro anche che è uno sport faticoso, che ci vuole passione e dedizione, e che non deve mancare il divertimento, soprattutto a quell’età».
Lei si diverte ancora quando volteggia in aria?
«Quando diventi più grande le cose diventano più complicate, perché devi mettere moltissima attenzione se no è un attimo che ti fai male, ma rimane quella bella sensazione di quando devi imparare a fare cose nuove, che all’inizio non ci capisci proprio niente e invece poi…».
Se lei e sua sorella avete iniziato a fare ginnastica lo dovete anche a vostro papà, ex ginnasta e vigile del fuoco scomparso a settembre 2022. Il peso di queste medaglie attenua o acuisce quello del dolore per la sua perdita?
«Avrei preferito che lui fosse qui e che condividesse questo con me, però sono sicura che quel che è successo lo sappia e che sia sempre qui a sostenerci. Una sola cosa: prima che se ne andasse per me era un momento un po’ così e ricordo che disse: “A me dispiace per Alice che non riesce a tirare fuori quello che ha dentro”. Ecco, sono riuscita a farlo solo quando lui se ne è andato, e a me dispiace che lui non l’abbia visto».
In queste Olimpiadi si è parlato tanto di Benedetta Pilato e della sua felicità per il quarto posto. Come la pensa a proposito?
«Io sono arrivata quarta a Tokyo 2020 e a Parigi nella finale all-around, a un centesimo dal podio. Penso che se non ci sei dentro non puoi capire e che se non sai la fatica e tutto il lavoro che ci sta dietro non puoi parlare. Sembra che se vinci una medaglia sei tutto e se no non sei nessuno. E le soddisfazioni personali non valgono niente? Se un atleta è alle Olimpiadi vuol dire che è tra i migliori al mondo, non è già questo motivo di felicità?».
Nel medagliere azzurro di Parigi è davanti al nuotatore Thomas Ceccon (oro nei 100 dorso e bronzo nella 4x100 stile libero). A lui non piace dirsi campione, a lei piace dirsi campionessa?
«No, anzi mi dà fastidio anche quando lo dicono gli altri. Non amo apparire, non mi piace stare al centro dell’attenzione, e poi alla fine quando torni a casa sei quello di prima e devi ricominciare da capo».
Ceccon a Parigi ha conquistato tanti cuori, e lei?
«Mmh, sì… Su Instagram ho ricevuto qualche “Sei bellissima”, e mi ha fatto piacere».
È fidanzata?
«No, ma è perché non mi accontento».